lunedì 19 aprile 2010

Woman in change

CONGRESSO

25/26/27 MARZO 2010



Una storia tormentata

Riflessioni sul problema della sterilità di coppia

Nell’ambito del convegno “Women in change” tenutosi a Modena a fine marzo 2010, propongo la sintesi delle riflessioni in ordine al problema della sterilità di coppia e degli interventi terapeutici nel tentativo di realizzare il concepimento.
In generale per la coppia il figlio significa molte cose, prima fra tutte dar corpo al prosieguo della vita della famiglia, ma anche realizzare e dar vita alle migliori fantasie, confermare armonia tra i coniugi, eguagliare i genitori che ci hanno preceduto, confermarsi nella capacità di concepire e dunque nella possibilità di riconoscersi nella “normalità” delle coppie.
La sterilità può assumere dunque i connotati di una colpa che un coniuge può assumersi se in lui si può ritrovare la causa, o ancora la sterilità può apparire un castigo, la sottrazione di un diritto, il ché può portare a sentimenti di invidia, di vergogna con conseguente aggressività sia all’interno della coppia che verso l’esterno.
La sterilità può minare la coppia seriamente, facendo emergere le fantasie e i fantasmi più nascosti che una immaginata procreazione teneva sopiti.
Occorre anche affrontare il lutto ricorrente di una mensile perdita fino al lutto permanente nel quale si piange una persona che non c’è, che non c’è mai stata e che con la sua assenza priva anche della possibilità di essere in qualche modo ritrovato nei riti consolatori che accompagnano la fine vita.
La sessualità può risentirne fortemente perdendo quelle caratteristiche ludiche, di relazione, di seduzione che dovrebbero distinguerla, per diventare quasi un dovere, un obbligo finalizzato e dunque ansiogeno.
Varie ricerche hanno messo in evidenza come fattori di stress, meccanismi psicosomatici e recondite attese possono influenzare il concepimento, in particolare quando la sterilità è valutata dai medici sine causa.
La stessa personalità femminile viene osservata come possibile maggiore inclinazione a favorire fenomeni di infertilità laddove si manifesta in modalità marcate e conflittuali , quando per conflitto intendo l’inconscio rapporto della donna con la propria storia.
Penso agli aspetti di mascolinità della donna – amazzone o alla dipendenza della donna immatura e auto svalutante.
Penso alle discrepanze tra il concetto di sé attuale rispetto ad un sé ideale coltivato nel tempo e semmai imposto dall’esterno.
Nel percorso della ricerca di un figlio si è notato che è la donna che pone maggiore accanimento mentre il marito è maggiormente incline ad abbandonare i tentativi.
Le ragioni credo siano facilmente comprensibili legate come sono alle diverse sensibilità maschili e femminile, alle diverse modalità di autorealizzazione nella vita, all’immagine che ognuno ha di sé anche agli occhi del mondo.
Occorre anche osservare, e non appaia un distinguo esagerato, che si può ritrovare una inconscia differenziazione tra il desiderio di concepire e il desiderio di un figlio.
Il concepire tocca aspetti di narcisismo che esclude il limite, ossia ok possiamo concepire come gli altri, mentre un figlio reale prolunga la nostra vita nel futuro, mantiene viva una sorta di onnipotenza originaria.
L’inizio dei trattamenti ai quali la coppia si sottopone rivolgendosi alle strutture mediche specialistiche in obiettivo gravidanza richiede elaborazioni forti rispetto all’invasività fisica e mentale.
La donna in particolare sa di essere la persona focale anche se la difficoltà di concepimento è attribuibile al coniuge, i medici diventano punto di riferimento, il timore del fallimento resta nell’aria, l’attesa palpabile.
La scienza cerca ragioni, spiega ma non può arrivare in quel terreno oscuro, inconscio, dove vivono i fantasmi delle persone, le fantasie, e i desideri non sempre consapevoli.
Dopo ripetuti fallimenti la coppia può iniziare a pensare all’adozione, e dunque si aprono nuove attese, fantasie, speranze in ordine al “tipo di bambino da scegliere”
Ma questo è altro capitolo che ci porta lontano rispetto al tema specifico del convegno.
Resta da dire sul ruolo possibile dello psicologo, chiamato a creare uno spazio, un contenitore emotivo ove tutte le fantasie, i pensieri possono essere espressi, e dunque perdere il potere di dividere, di portare nel tempo qualcosa che pesa e continuerà a pesare sino a quando non verrà espresso ed elaborato.
Lo psicologo deve saper creare accoglienza, offrire anche informazioni di concerto con i medici, aiutare e vedere ciò che nei due singoli coniugi si muove in ordine alla sterilità, all’idea di sé, di famiglia, e, non ultimo, aiutare nell’elaborazione del possibile “lutto permanente” nonché alle possibili soluzioni “altre” quali l’adozione.

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